venerdì 14 gennaio 2011

Rendez vous





12 Gennaio 2016 – poche ore all’alba

Mi hanno risposto!
Mi immagino che Angelo (nome non sarà mai tanto appropriato) e i suoi a quest’ora stiano attraversando la manciata di miglia marine che li separano dal mio rifugio, sballottati dalle onde, gli occhi a fessura per sorvegliare la costa ormai morta.
Per festeggiare mi sono mangiato una barretta ai cereali, che sembrava cartongesso ripieno di sabbia e miele. Di tanto in tanto salgo su una pila di sedie per osservare fuori dal buco sul tetto.
Ancora buio pesto. Il rifrangersi delle onde mi ha tenuto sveglio, quello e il fatto che la notte tornata selvaggia è piena di rumori. Non sono i mugolii o i latrati catarrosi dei gialli, che sono diventati, negli ultimi anni, il suono familiare della mia sveglia. Fruscii, un cane che abbaia lontano, il grido gelido di una civetta, ogni tanto sento il rumore ritmico, rapido dei picchi.
Mi divoro le unghie e le pellicine delle dita fino a farle pizzicare e sanguinare, meglio smettere non vorrei che attirassero degli infetti. Mi accorgo solo ora che non  ne ho visto ne udito alcuno da ieri mattina, sulla strada.
Rumore, un attimo
Non ci credo. Ho socchiuso la porta e per un attimo la mia torcia ricaricabile ha illuminato una figura pelosa, che scavava acquattata tra gli arbusti a ridosso della pagoda sommersa dalla sabbia. Con la mano destra cercavo di arraffare la mia sbarra di metallo, mentre la sinistra inquadrava due zanne porcine che si dileguavano spaventate verso le dune.
Ricordavo che la zona era abitata dai cinghiali, perché circa venti anni fa una mia amica ne investì uno al ritorno da un falò, organizzato per la fine del liceo.
Senza saperlo ho trovato il miglior posto dove aspettare i miei salvatori: se ci sono i cinghiali non ci sono loro, o almeno così ho letto in uno dei blog di altri sopravvissuti.
Comincia ad albeggiare, intravedo la battigia alla mia destra e le dune ricoperte di vegetazione a sinistra.
Silenzio, c’è un gran silenzio ora.
Poi uno schiocco.
Sento del ghiaccio incastrato nelle vertebre del collo.
E’ uno sparo. Seguito da altri due.
Dal punto di osservazione non vedo niente. Un paio di cinghiali feriti sono fuggiti furiosi verso le onde per poi correre a sud, verso la foce del Serchio.
Questo è male.
Eccoli, i grugniti tristemente familiari.
Appoggio in piedi alla parete quattro frecce e l’arco, poi impugno l’asta.
Un tizio alto, in mimetica, elmetto e passamontagna nero, si fa condurre da due gialli nudi e magri, con al collo un collare di cuoio, ciascuno agganciato a delle aste di metallo impugnate dall’uomo. Gli infetti sbavano e fanno fare dei balzi al loro custode che stenta a trattenerli. Dietro di lui altri due soldati con AK 47 spianati.
Razziatori!
Hanno un simbolo d’argento sugli elmetti.
Forse quelli della Whyte.
Che cretino! Qualcuno ha seguito i miei contatti con Angelo e ora cerca vendetta,vista la botta che gli ha dato la Stone Cold l’altro giorno. E io gli ho anche fornito le coordinate.
Spedisco un messaggio e li avverto, spero di essere in tempo.
Restate vivi, io ci provo adesso.

MAX



12 Gennaio 2016 – l’alba

Abbastanza vivo per scrivere.
Bilancio: due feriti lievi (uno sono io) e un futuro giallo steso a rantolare nella sabbia rossa. Il domatore è sano come un pesce ma ha perso uno dei cagnolini.
Ecco, ora ha perso anche una delle guardie, pietosamente finita dall’altra, che si tiene la spalla sinistra, dalla quale spuntano le piume di una freccia.
La sbarra di metallo giace a terra, ammaccata, vicino alla porta del mio ultimo rifugio. Ho ancora l’arco, due frecce e forse quattro bersagli da colpire prima che loro facciano lo stesso con me. In tasca ho la beretta scarica, servirà per il mio bluff da ultima spiaggia (mi sembra il posto giusto per la metafora).
Sono sdraiato in un canneto vicino ad una pozza di acqua marcia, che divide in due l’ultima fila di dune prima della spiaggia e si ricongiunge con un rigagnolo direttamente al mare grigio. Non penso mi abbiano visto, erano troppo indaffarati a difendersi dal giallo liberatosi grazie a me: un colpo vibrato con la pertica di metallo proprio sulla mano destra del domatore.
Hanno notato l’altra pagoda, il domatore vi si dirige sbraitando in una lingua balcanica, preceduto dal giallo ammaestrato, si avvicina e prende di mira con una pistola l’antenna wireless.
L’altro soldato viene verso le dune, sta parlando ad una radio.
Vi salut


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