martedì 11 gennaio 2011

Leaving the nest



11 Gennaio 2016

 
Dunque me ne sono andato davvero.
Dopo quasi due anni, compresi gli ultimi tre mesi in completa solitudine.
Adesso sono in una specie di pagoda in riva al mare, una volta era un bar gelateria, attrezzato anche per aperitivi e cene a base di pesce. La struttura è fatta di tronchi di legno, montati su una pedana in cemento. La sabbia la ricopriva quasi del tutto, visto che ora i trattori che la spianavano giacciono, come carcasse di balene, sulla battigia.
Ho dovuto scavare nella sabbia gelata con le mani, strappandomi via un’unghia dal dito medio, per farmi un varco e raggiungere la porta. Dentro solo altra sabbia, alcuni tavoli e sedie di plastica bianca. In effetti non è un gran che, ma è solido, i portelloni che si aprono sui lati della pagoda sono ben chiusi e un piccolo foro nel tetto  mi consente di tenere d’occhio intorno.
Questo rifugio inoltre ha un altro vantaggio, ha una minima copertura wireless, visto che l’altra pagoda sul lato opposto della rotonda panoramica, prima fungeva da internet point. Ecco laggiù l’antenna, unica vestigia tecnologica ancora funzionante, che si erge un metro sopra la duna che nasconde la costruzione.
Stamani all’alba ho lasciato il magazzino del supermercato, dopo alcuni giorni di seghe mentali varie e titubanze dell’ultimo minuto.
Sono uscito dalla porta del cortile sul retro: non c’era nessuno in vista, sono salito sul tetto ed ho scrutato i dintorni.
La rete intorno al cortile era sgombra, a parte i cadaveri decomposti dell’estate precedente.
Accanto al magazzino dell’Eurospin c’era una pizzeria a due piani con terrazza: attorno ad un tavolo c’era un ragazzo, pensai fosse morto, ma un’ ispezione più accurata, col telescopio della prima comunione, rivelò un movimento della mano: la portava alla bocca chiusa a pugno, poi la poggiava sul tavolo e quindi ripeteva l’operazione.
Sembrava mimare una persona che mangiava, forse ricordi della vita passata, sopravvissuti al prione.
Guardai meglio.
Il Konus mi scivolò di mano.
Pietro.
Il mio amico d’infanzia.
Un paio d’anni prima dell’epidemia si era stabilito lì vicino: la pizzeria era spesso la sua soluzione preferita per la cena; ci ero stato a mangiare anche io con Luisa.
Luisa era la mia ragazza, nell’estate del ’12 ha cominciato a non avere più fame, era sempre arrabbiata e divorata dall’ansia, all’inizio l’ho presa in giro, perché era sempre stata un po’ ipocondriaca, ma non quella volta, purtroppo. L’ultima volta che l’ho vista era legata sul lettino, nel reparto malattie infettive del Santa Chiara: si dibatteva, urlava e fili di bava le colavano sul collo giallo.
I ricordi  risalirono con violenza, causandomi una fitta nello stomaco, mentre le lacrime si facevano strada sulla barba scompigliata.
Un grugnito sommesso mi arrivò dal basso.
Strinsi la mia arma, un’asta di metallo, con entrambe le mani, accovacciato sul tetto incatramato.
Il rumore si ripeté, una decina di metri più a destra del primo punto.
Mi avvicinai al piccolo parapetto in muratura e mi sporsi sotto.
C’era un uomo vestito da vigile urbano, con la divisa estiva: camicia a maniche corte azzurra, calzoni neri e cinturone bianco.
Il cranio, calvo, portava i segni di almeno due, tre morsi purulenti.
In vita era stato il più bastardo tra i vigili del paese e ora, da morto, se ne stava di pattuglia sulla strada provinciale che io avrei dovuto percorrere per il rendez vous con la Stone Cold Company.
Io l’avrei percorsa nella direzione opposta, ma il tipo mi avrebbe sicuramente visto e magari avrebbe attirato l’attenzione di altri infetti.
Ho controllato ancora la strada e le vicinanze, cercando di accantonare per un po’ il passato: sull’asfalto c’erano alcuni rottami anneriti di auto, detriti e sacchetti della spazzatura, ma nessun giallo a parte Rambo, il super vigile. Davanti a me c’era la farmacia che, privata di ogni cosa utile, adesso ospitava il quartier generale dei gialli assedianti il magazzino in cui mi trovavo. Non vidi nessun movimento nella penombra, oltre la vetrina sfondata da una panda verde. Non potevo uscire dall’ingresso principale, magari era ancora presidiato dopo la sortita dell’altro giorno e poi dava proprio davanti alla farmacia.
Decisi di passare dal cancello del cortile sul retro, sperando che non fosse sorvegliato.
Dovevo contare solo sulle mie gambe: le auto dei miei ex compagni di sopravvivenza erano a secco dalla scorsa primavera ed i distributori nelle vicinanze erano nelle stesse condizioni dai primi mesi del ’14.
Tornai giù e prima di uscire controllai ancora lo zaino: il cibo (bottiglia di minerale da 1.5 litri, due scatolette di ciappi da 400 grammi, una barretta ai cereali), sacco a pelo, netbook, cartina, torcia ricaribile, coltellino svizzero, Beretta scarica di Greta e termometro da parete.
C’era tutto.
Misi in spalla lo zaino e raccolsi anche una faretra in similpelle nera con 5 frecce.
L’arco mongolo mi aspettava accanto alla porta, insieme alla mountain bike. Non pensai a quanto dovevo essere ridicolo, con tutta la bardatura da motocross e il resto.
Sbuffando nuvole di vapore nell’aria gelida, detti le prime pedalate barcollanti costeggiando il cortile interno e immettendomi sulla provinciale.
La paura cercava di rallentarmi le gambe, ma ad ogni metro mi sentivo più spavaldo: la bici era silenziosa e Rambo non si era ancora accorto di niente.
Strano.
Non so perché l’ho fatto…no, cioè lo so, Rambo mi è sempre stato sul culo.
Rallentai fino a fermarmi, detti un’occhiata intorno a me per sincerarmi che non ci fosse nessuno e quindi incoccai la freccia presa dalla faretra, legata alla canna della bici.
Tirai la corda con il gomito ben in alto, fino a sfiorare l’orecchio destro, trattenni il respiro nell’ultimo centimetro di sforzo e quindi liberai la freccia che centrò la pelata del giallo e la percorse per metà lunghezza.
Avrei pagato per vedere la sua faccia di cazzo con una freccia in mezzo agli occhi, ma dovevo andare, cominciavo a sentire rumori dalle case abbandonate a lato della provinciale.
Percorsi la provinciale che una volta percorrevo spesso per andare a Pisa, scansando un paio di defender dei Carabinieri rovesciati su un fianco. Non c’era niente di vivo intorno.
Dopo alcune centinaia di metri tra campi incolti arrivai ad una rotonda.
C’era una donna infetta nel mezzo dell’isola pedonale: osservava attentamente un cartello pubblicitario del circo, ingiallito dal sole e strappicchiato dal vento. Mi misi in piedi e spinsi forte sui pedali per oltrepassare velocemente la rotonda.
La vecchia bici però cigolava e la gialla si voltò ululando proprio mentre le passavo accanto: allungò un braccio scorticato ma l’unico risultato fu di cadere a faccia in giù. Io ero già oltre svoltai e raggiunsi l’Aurelia, in prossimità di Migliarino mi accorsi di un aspetto che non avevo considerato: dovevo oltrepassare il Serchio ma l’unico ponte era stato fatto saltare dal genio come misura anti pandemia.
Ero fradicio sotto la tenuta da motocross, sia per lo sforzo di pedalare dopo mesi di quasi totale inattività, sia per il panico che iniziava a soffocarmi.
Mi voltai immaginandomi gia attorniato dai cari infetti: non c’era nessuno e per fortuna solo in quel momento notai che il ponte ferroviario, parallelo a quello stradale, non aveva subito la stessa sorte.
Scesi di sella e mi avventurai fuori dalla sede stradale, tra gli arbusti più alti di me, tenendo la bici sulla mia sinistra e l’asta con la mano destra.
Risalii la massicciata, cercando di non smuovere troppo i sassi. I binari erano nascosti dalle erbacce, ma riuscii a passare il Serchio senza grossi problemi.
Scesi dalla ferrovia e imboccai il viale dei Pini, che, rigogliosi, avevano spaccato l’asfalto in alcuni punti. Accelerai in un paio di tratti in cui vidi movimenti pericolosi tra giardini infestati e carcasse di autobus. Dovevano essere passate un paio di ore, prima della Gialla ci avrei messo lo stesso tempo a piedi, ma ora il mondo non era più lo stesso e neanche io del resto.
Insomma eccomi qui, in riva al mare, ad aspettare la Stone Cold Company.
Ecco le mie coordinate:

Latitudine : 43.794080( 43° 47' 38.688" N ) Longitudine: 10.267070( 10° 16' 1.452" E )

Vi aspetto, nel momento in cui scrivo questa riga dovrebbe essere mezzogiorno, se il netbook non mente.
Ho autonomia di cibo per altre 48 ore, poi dovrò darmi alla pesca a mani nude.
Come dicevo una volta con gli SMS: fatemi sapere.

MAX

3 commenti:

  1. Eccoci! Ho distaccato due dei nostri con uno Zodiac, dovrebbero raggiungere la costa sulle tue coordinate in breve tempo. Date le attuali condizioni sicuramente sentirai il rumore del motore anche prima di vederli.
    Trova un punto coperto, se ci sono Gialli in zona il rumore li attirerà. I miei ti garantiranno un corridoio aprendo il fuoco, a te toccherà giocarti la corsa fino alla riva.
    Buona fortuna!

    Angelo Benuzzi

    (personaggio off)
    Da qui in avanti urge coordinarci, mi trovi sul blog e a questo indirizzo:
    angelo.benuzzi@gmail.com

    Benvenuto a bordo! :-)

    RispondiElimina
  2. Grazie vi devo la vita!!! Mi farò trovare pronto.
    (personaggio off)
    Vedo se stasera riesco a buttare giù qualcosa e a mandartene una bozza. Grazie per l'opportunità, sono molto curioso...

    RispondiElimina
  3. (personaggio off)
    Vai tranquillo, un modo per fare bene le cose llo troviamo. :-)

    Angelo Benuzzi

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

Etichette

Licenza Creative Commons
Questo opera è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.