venerdì 24 dicembre 2010

Merry Christmas...


25 Dicembre 2015 – sera

Incredibile! Ieri ho ricevuto il mio regalo di Natale.
Mentre me ne stavo rintanato sulla mia piramide di pancali a navigare sui blog dei sopravvissuti, cominciavo a provare una forma nuova di solitudine. Quella consueta ormai non la definirei neanche più come tale: negli ultimi mesi mi ero abituato, era la consuetudine.
Poi ho trovato il netbook ed il blog di Alex.
All’inizio ero euforico, non ero più solo.
Col tempo però, leggendo i vari post dei sopravvissuti, mi sono reso conto che ero abbastanza isolato dagli altri: chi è in Lombardia, chi in Sardegna, nel Lazio o in Sicilia. Qualcuno è in Toscana, sull’Appennino, ma per me, senza mezzi di trasporto tranne le mie gambette secche, è come fossero su Marte.
Gli unici più vicini erano i ragazzi della Stone Cold Company.
Grande, peccato però che fossero partiti via mare il giorno prima in cui avevo trovato i loro scritti.
Ero di nuovo solo.
Poi ieri ecco il regalo, sul mio ultimo post c’è un commento: sono loro, si trovano alla fonda a pochi chilometri dalla costa di Livorno e mi chiedono se sono interessato a tentare la sorte con loro.
Ho letto e riletto più volte quelle sei righe scarne.
Poi ho esultato e mi sono buttato via di dosso le coperte, ho urlato come un ossesso, ho riso e pianto allo stesso tempo.
Mi restano scatolette di cibo per cani per una decina di giorni (se tiro un po’ la cinghia), tre bottiglie di acqua minerale e un paio di barrette energetiche rinsecchite.
Penso proprio che accetterò.
Buon Natale a tutti.
Ora più che mai.

MAX

domenica 19 dicembre 2010

No mercy



19 Dicembre 2015 – Pomeriggio

In questi ultimi giorni ha nevicato, nonostante mi trovi in pianura, a non più di 15 chilometri dal Tirreno. Ho avuto un bel daffare per non congelarmi, il termometro alla parete indica 8-9 gradi centigradi, ma nel magazzino c’è umido e perciò sembrano molti di meno.
Sono nella mia tenda igloo, montata in cima ad una piramide di pancali, inchiodati tra loro. Mi ci son voluti quasi cinque giorni ma ne è valsa la pena: è stabile, sono a quattro metri da terra e se qualcuno abbastanza pesante prova a salire, spero faccia scricchiolare abbastanza il legno da svegliarmi.
Ho ricaricato la batteria del netbook.
Sono quasi al calduccio sotto un cumulo di coperte.
Continuo il racconto dell’altro giorno.
Vincenzo il giornalaio, picchiò col calcio della doppietta sulla porta di metallo con la finestrella di vetro infrangibile.
- Aprite! Giulio! Filippo!
I due ex benzinai si erano rintanati dentro.
Greta, la vigilessa intanto scaricava gli ultimi colpi della Beretta.
Mi buttati anche io sulla porta, e sbirciai dalla finestrella: Giulio e Filippo stavano lottando con Carlo, un pensionato, un tempo mio vicino di casa.
- Prova con la sbarra! – disse Vincenzo caricando una cartuccia, forse l’ultima, nella doppietta.
Gli ululati ed i lamenti dei gialli coprivano quasi le nostre imprecazioni.
Infilai l’estremità dell’asta nella fessura del battente, subito sotto la serratura e feci leva, aiutato da Greta, alta e forte, alla quale si aggiunse Vincenzo, ormai senza munizioni.
Mio fratello e gli altri tenevano a distanza la muraglia di braccia itteriche che artigliavano convulse l’aria calda.
- Dai! Spingi!!!
- Bastardi, hanno sistemato Carlo!
- Dai così, ora! Più forte!
- Maledetti! Vi ammazzo tutti e due!
Con un ultimo sforzo la serratura cedette un po’, quanto bastava per infilare meglio la leva e spalancare la porta.
Mi sentii spingere: era mio fratello, con un morso sulla gota ed il piccone spezzato.
- Entra!
Ero di nuovo paralizzato.
La barriera di bocche, occhi itterici, mani e unghie nere si buttò su di noi, ululando.
I seguenti venti, trenta secondi trascorsero in un groviglio di sudore, sangue, saliva e lacrime.
Mi sentivo strattonare da più parti mentre ruotavo a caso la mia arma.
Mi ritrovai disteso sul cemento all’ingresso della porta sul retro.
Accanto a me Marcello, una statua di sangue e carne, continuava con il mozzicone di piccone a tenere testa a due gialli che erano entrati nel magazzino.
Vincenzo fu morso alla gola mentre tentava di richiudere il passaggio: cadde a terra gorgogliando e non si mosse più
Greta fu sollevata di peso da cinque di loro e inglobata dalla piccola folla che se la contese.
Marcello ficcò ciò che restava del piccone nel petto dell’infetto che aveva davanti e buttò l’altro oltre la soglia aperta.
Si avviò verso la porta e la richiuse.
- Prendi la catena!
Era per terra vicino ai piedi di Vincenzo.
Raccolsi la sua doppietta e colpii forte col calcio la testa dell’ultimo giallo rimasto che, incurante, continuava a sbranare quello che era stato un edicolante.
Marcello era allo stremo, cercava di tenere chiusa la porta, ma ad ogni strattone degli assalitori si riapriva un po’.
- Presto!
Passai la catena sui maniglioni antipanico e chiusi il lucchetto.
Marcello si sedette a terra, con la schiena appoggiata al muro.
Gli dissi di rimanere lì, mentre cercavo gli altri, uomini o gialli che fossero.
- Resisti Max, mi raccomando!
Furono le ultime sue parole.
Trovai Giulio abbracciato ad una donna seminuda, gialla e morta come lui: sembrava si baciassero.
Carlo era in un angolo, aveva battuto la testa sul cemento, il sangue scuro gli faceva un’aureola attorno ai capelli bianchi.
Filippo mi implorò di salvarlo.
Lo feci.
Gli risparmiai un altro giorno di questa vita.
Sento ancora freddo, per oggi basta con le velleità letterarie.
A presto e resistete anche voi!

MAX

sabato 18 dicembre 2010

Riot



14 Dicembre 2015 - Mattino


Dormito poco, meno delle solite 5 o 6 ore.
Ripensavo all'ultima volta che ci hanno attaccato in massa, sterminando tutti tranne me.
Era la  scorsa estate: noi eravamo in dodici, loro chissà in quanti. Della mia famiglia eravamo rimasti solo io e Marcello, mio fratello maggiore, sulla cinquantina ma ancora capace di usare un'arma improvvisata.
I nostri genitori se ne erano andati dal rifugio una fredda mattina di questa primavera: erano entrambi ammalati, polmonite, ma di antibiotici non ne erano rimasti.
Non volevano più gravare sul gruppo.
Non ci hanno lasciato alcun messaggio; solo le loro coperte e due scatolette.
Li abbiamo cercati nelle contrade intorno, ma erano svaniti, spero che non li abbiano presi, non sarei capace di ucciderli una seconda volta.
Di mia sorella Marisa non sapevamo più niente dal Marzo 2014, quando ci siamo trasferiti nel magazzino. Dovevamo ritrovarci tutti insieme, ma non è mai arrivata.
Quella estate le vedette sul tetto del magazzino registrarono un aumento delle attività degli assedianti affamati.
Si raggruppavano silenziosi attorno alle reti del cortile interno: era come se sapessero che non avevamo munizioni per tutti e perciò se ne stavano lì allo scoperto, sfidandoci.
Ogni tanto altri davano loro il cambio, uscendo dai loro ripari: carcasse di auto, case annerite, il negozio di mobili accanto al nostro rifugio.
A causa della tensione, Vincenzo, ex-giornalaio del paese, in due occasioni  sparò dal tetto con la doppietta.
Questo causò un'ulteriore concentrazione di gialli famelici attorno all'edificio.
Ci eravamo disposti in quattro alla porta del cortile e in tre dietro al portone antipanico all'ingresso, gli altri sul tetto con le armi a lunga gittata: due doppiette, la Beretta del capo dei vigili e due archi mongoli a doppia curva.
Io stavo all'ingresso principale con mio fratello e Rossana, una donnetta bassa e risoluta. Stringevo in mano un'asta di metallo lunga un paio di metri, con punte rastremate, che in origine era uno  dei sostegni diagonali di una impalcatura da edilizia. Marcello impugnava un piccone, preso dallo stesso cantiere abbandonato dove mi ero servito io. La donna aveva un'ascia e uno scudo di plexiglass dei carabinieri.
Non era la prima volta che ci bardavamo con caschi da moto e protezioni in plastica e nastro adesivo, ma ogni volta mi venivano in mente le proteste contro i governanti europei, negli ultimi mesi prima della caduta della civiltà.
Anche stavolta come allora combattevamo per un diritto: quello alla vita.
I colpi al portone antipanico erano sempre più forti e frequenti, intervallati dai nostri respiri affannati. La catena reggeva, o così pareva.
La visiera del mio casco era graffiata e si stava appannando per l’effetto sauna dovuto al caldo e alla tensione. I guanti di pelle mi si attaccavano alle mani, mentre una goccia di sudore mi si incanalava dalla fronte fino alle mie labbra contratte.
Delle voci concitate alle nostre spalle:
- Venite a vedere! Presto! - era Riccardo, uno nuovo.
Marcello mi fece cenno con la testa di andare.
Quattro uomini facevano a gara per guardare dalla stretta finestrella della porta del cortile.
- Cazzo! Stanno salendo sulle spalle di quei tre grossi!
- Guarda Max! Vedi?
I gialli alla rete del cortile stavano costruendo una piramide umana tipo circo: tre alla base, aggrappati con le mani contratte sulle maglie romboidali, due sulle loro spalle mentre un altro si arrampicava e, aiutato da altri due a terra, si issava sull’estremità della recinzione, in bilico.
Una fucilata di Vincenzo lo fece cadere sulle teste degli altri, sollevando in aria una nuvola rossastra.
Su un altro lato altri stavano facendo la stessa cosa.
Alcune frecce, colpi di pistola e altre tre fucilate piovvero addosso alle due piramidi di carne gialla.
Per uno che cadeva, altri due arrivavano dalle retrovie.
Dopo un’ attimo mi accorsi che anche Marcello e Rossana spintonavano per arrivare alla finestrella.
- Non ce la faremo per molto! - disse la donna sbattendo lo scudo sul pavimento.
- Li dobbiamo fermare noi!
Era Riccardo, che brandiva una spada da gdr dal vivo, opportunamente affilata.
Sembrava quasi William Wallace, kilt a parte.
Stessi occhi da pazzo.
- Col cazzo, io non esco!
- Neanche io, aspettiamo, magari smettono!
Intanto un’altra piramide si stava formando alla recinzione.
- Se continuano a sparare sarà difficile che smettano - disse Marcello.
- Allora voi andate all’ingresso, io, Marcello e Max usciamo... - disse Riccardo a due uomini meno volenterosi.
Erano i due benzinai del paese (non vi dico ovviamente quale), due tipi sempre allegri prima della Gialla, ora un po’ meno. Indossavano ancora le divise grigie bordate di giallo e rosso dell’Agip.
- Va bene, voi andate, noi vi guardiamo da dentro. - dissero calcandosi in testa due vistosi caschi da motocross
Rossana aprì il portone: - Usciamo a darvi una mano! - urlò con le mani a coppa intorno alla bocca, sperando che gli altri sul tetto la sentissero.
Due braccia nodose, gialle la presero per il collo, mandandola a gambe all’aria sul cemento caldo.
Il piccone di mio fratello si abbatté in mezzo alla maglietta dell’hard rock caffè dell’assalitore.
Il fiotto fetido che ne uscì si abbatté fradicio su di noi.
Io e Riccardo ci buttammo fuori per recuperare Rossana che aveva perduto la sua ascia.
- Fermi! non uscite!
Era Greta, il comandante dei vigili urbani, che dal detto mirava in basso con la sua Beretta d’ordinanza.
Avevo capito: dalla nostra postazione avevamo una visuale ristretta, ai lati destro e sinistro del campo visivo offerto dalla finestrella, c’erano altre due piramidi di gialli che noi non avevamo visto ed il primo infetto che aveva scavalcato si era letteralmente trovato Rossana tra le braccia.
Cinque tiratori sul tetto e cinque piramidi: troppi bersagli, considerando gli altri infetti attorno al magazzino.
- Andiamo Rossana! - l’aiutai a tirarsi su: aveva un lungo taglio sull’avambraccio.
La lasciai subito, senza fiato.
Lei mi guardò, terrorizzata: i suoi occhi azzurri correvano ritmicamente dal suo braccio a me.
Poi si chinò per raccogliere da terra la sua arma.
Altri spari dal tetto.
Non sapevo che fare.
- Attento!
Era la voce di mio fratello, mentre cercava di staccare il piccone dal corpo del primo giallo.
Un peso notevole mi buttò faccia a terra, sentii una forte pressione sulla gamba sinistra.
Cercai di rigirarmi, era un vecchio con indosso un cappotto invernale, con l’imbottitura che mi si sbriciolava addosso.
L’ascia gli si piantò proprio sulla pelata paglierina.
Infilai l’asta di ferro tra la gamba e la testa del bastardo e feci leva, finché lo scrocchio improvviso della mandibola mi informò che ero libero.
Rossana mi fece un sorriso e si buttò su una ragazza magra che si stava rialzando dopo essere caduta dalla cima della rete.
Marcello mi si avvicinò guardingo: - Stai bene?
Mi toccai la gamba: la gommapiuma sembra aver retto.
- Sì! Hanno beccato Rossana!
Riccardo intanto mulinava la spada tagliando arti in qua e là.
Dal tetto non sparavano più, solo un paio di frecce si piantarono sull’ennesimo giallo in cima ad una delle piramidi.
- Merda! Lasciala perdere, dentro! - disse mio fratello avviandosi alla porta aperta
- Dai Riccardo andiamo! - urlai all’altro, che ne sta fronteggiando due.
Mi fermai pensando di soccorrerlo.
Ma non lo feci.
Avevo le gambe bloccate.
Nel momento in cui la sua spada si conficcava nella clavicola di un ciccione con la tuta da ginnastica, questo piegò di scatto il collo peloso e gli affondò i denti marci sulla mano, strappando il guanto da sci che la proteggeva.
Riccardo lasciò la sua arma e indietreggiò, proprio mentre un altro infetto alto e scattante gli tagliava la via di fuga, tra lui e me, che mi trovavo ancora piantato due metri dalla porta.
Incontrai lo sguardo avido del nuovo arrivato, mi parve di vedervi compiacimento.
Riccardo urlò e quello decise di correre verso di me.
Alzai la mia sbarra, ma nello stesso momento Marcello mi passò accanto e dette una picconata, che però scheggiò soltanto il cemento del cortile. Lo spilungone partì al contrattacco, ma la mia arma lo fece arretrare.
Ormai i gialli calavano quasi indisturbati da tutti e tre i lati della recinzione.
La vigilessa stava scendendo dalla scala in metallo che portava sul tetto: - Via, via dentro!
- Riccardo! Rossana!
Nessuno rispose, tranne gli infetti, che adesso ringhiavano più del solito.
Io e mio fratello arretrammo coprendo gli altri che scendevano dal tetto.
- Aprite! Oh! Aprite, Aiuto!
Buttai un occhio alle mie spalle: la porta era chiusa.
Scusate ma devo ricaricare il computer, giuro non lo faccio per la suspence, a presto!

MAX

Homeworks


12 Dicembre 2015 - sera

In questi giorni ho sistemato il casino di Lunedì scorso: ho sostituito il lucchetto alla catena del  portone antipanico, portato fuori il cadavere e staccato da terra con il bruschino il suo cervello.
Ho lavorato con la sciarpa tirata sopra il naso, ma ho rischiato di vomitare un paio di volte, un po’ per lo schifo un po’ per la paura di infettarmi. Fatto il lavoro mi sono tolto i guanti da cucina e li ho buttati in uno dei container sul cortile interno riciclato come pattumiera. Era stata una buona idea, visto che all’epoca, circa una anno fa, eravamo più di trenta persone e producevamo abbastanza robaccia di scarto. Mentre riattraversavo lo spiazzo di una ventina di metri per  venti, ho improvvisamente avvertito la sensazione di non essere solo.
Mi sono girato su me stesso e con un veloce colpo d’occhio non ho notato nessuno alle reti verdi, alte circa tre metri, che formano un quadrato con la parete del magazzino, dove si trova la porta dalla quale ero uscito.
Mi sono affrettato a rientrare, ho chiuso il lucchetto della porta.
Ho rifiatato un attimo, mentre piccole nuvole di condensa si disperdevano nell’aria che puzzava di chiuso.
Mi sono messo a scrutare fuori da dietro il piccolo vetro polveroso della porta.
Il cancello della recinzione che dava sulla strada per fortuna era ben chiuso dalla catena ormai arrugginita.
Mi sono ritornati in mente alcuni resoconti del blog che parlavano di gialli intelligenti e per un attimo il sangue ha cominciato a pompare caldo dietro la nuca e nel collo: si perché sono certo che gli occhi che mi osservavano non erano umani. Erano occhi itterici, che studiavano le mie mosse dopo la tentata invasione ad inizio settimana. Sicuramente stavano studiando un altro piano per prendermi.
In qualche modo hanno capito che sono solo, affamato e con poca esperienza di combattimento.
Ti invidio Alex, da questo punto di vista mi batti su tutta la linea.
Batteria a terra, desso devo ricaricare il piccolo netbook, che si è rivelato essere un modello ecologista a manovella.
E' anche dotato di antenna wireless, che miracolosamente trova due tacche di campo da chissà quale ripetitore ancora funzionante.
Mi duole già il braccio.
A presto

MAX

venerdì 17 dicembre 2010

Water closed


9 Dicembre 2015 - mattino

Anche oggi è meno freddo degli scorsi giorni, è una fortuna per le mie dita, ma temo
anche per i gialli là fuori.
Volevo salutare Alex e tutti quelli che ancora scrivono sul blog, l'altro giorno me ne sono dimenticato.
Grazie a Swordman per la dritta sulla pellicola, mi hai comunque rincuorato...purtroppo quel cazzaro di giallo si era infilato tra i battenti del portone incatenato del magazzino.
Da non credere, erano in due, avevano spinto tanto da schiantare uno dei lucchetti arrugginiti, il primo che aveva tentato di entrare era rimasto incastrato con la testa e l’altro lo ha fatto passare a forza nella fessura, spaccandogli la testa per la pressione, così l'apertura si era allargata abbastanza da permettere al giallo di venire a cercarmi.
Strano.
Si sarebbe dovuto accontentare del compagno ed invece è venuto dritto da me che scrivevo.
Ho letto qui sul blog che pare si stiano evolvendo, penso di poterlo confermare...
Fatto sta che ero tanto assorto nella scrittura, che ho sentito i suoi passi strascicati soltanto quando era già a due scansie di distanza da dove mi trovavo.
Ho chiuso la sessione, per non sprecare le batterie del portatile e nel frattempo sono uscito dallo stretto corridoio tra le due scaffalature metalliche, per correre verso il mio rifugio.
Purtroppo una zaffata di sudore rancido e sangue secco mi violenta il naso mentre i miei occhi incontrano quelli arrossati dell'altro, a non più di un metro da me.
Dietro front!
Ancora col portatile in mano, che sta chiudendo alcune applicazioni del cazzo che si sono impallate, torno sui miei passi.
Vicolo cieco ovviamente.
Il giallo arranca sbavando verso di me.
Allungo il braccio sulla scansia di destra e poso il prezioso portatile.
A sinistra ci sono i pannolini, più sopra le salviette umidificate.
Mentre un flash del giallo, soffocato da questi inutili strumenti, mi passa davanti agli occhi inciampo su uno scatolone.
E’ pieno di rotoli di pellicola da cucina.
Furiosamente me ne avvolgo un po' sul viso, l'unica parte esposta all'aria.
L'ospite sgradito si butta verso di me tipo rugbista con le mani incrostate di fango e sangue.
Non lo schivo come avrei voluto e mi ritrovo abbracciato alla salma ansimante che cerca di mordermi il collo, nascosto dalla sciarpa sudicia.
Nella lotta mi esce da un  tasca del piumino il rotolo di scotch con cui tappo gli spifferi delle
finestre.
Lo ficco nella bocca rossa che cerco di tenere lontano dal mio viso.
Tra l'altro mi si è appannato tutto e sto per soffocare.
Con la disperazione riesco a buttarlo a gambe all'aria sul pavimento di cemento quarzato.
Mi strappo la pellicola sbavata e recupero una prezzatrice che uso a mo' di clava sulla testa impiastricciata dell'altro. Poi lo scavalco e corro verso il reparto agricolo, ma scivolo sulla scia di fango che sì è formata dietro al mio aggressore. La mia testa ha sfiorato un sanitario con attaccato il cartello "saldi". Mi rialzo mentre il giallo è ancora in ginocchio.
Con le ginocchia che scricchiolano prendo in braccio il cesso e glielo butto addosso.
Lui  si distende supino, con la ceramica bianca che gli controlla da vicino la corteccia frontale
spappolata.
Ma vai a cacare!
Poi ecco un rumore secco, all'altezza delle mie orecchie.
Il notebook si è spento.

MAX

Io ci sono...


6 Dicembre 2015 - mattino


freddo, freddo fa sempre freddo...scrivere, scrivere è un concetto vuoto, un suono che ha poco senso, meno senso del vento che stamani continua a soffiare gelido tra le fessure delle finestre mezze marce.
E difficile scrivere o comunicare, sono mesi che non lo faccio. da quel giorno. scusate la punteggiatura ma le dita sembrano di vetro e dopo poco mi fanno male. ho trovato questo pc ancora imballato, su uno scaffale in alto. Erano giorni che lo squadravo mentre mi aggiravo in questo magazzino alla ricerca di scatolette o biscotti ancora mangiabili. Avevo paura: paura che non funzionasse certo, ma più che altro temevo che si accendesse e che poi non trovassi più nessuno a rispondermi sulla rete.
Stamani all'alba mi son deciso....è incredibile c'è ancora qualcuno vivo. Ormai mi ero abituato all'idea di morire di fame nel magazzino dell'Euro Spin, una volta finita l'ultima scatoletta di ciappi.
Sono solo. Non so da quanto...cioè lo so era ancora caldo, perciò forse era Settembre, ma fino ad oggi non avevo un calendario e non avevo voglia di fare calcoli. Era in corso un'altra serie di attacchi dei gialli al magazzino rifugio che avevamo allestito con la mia famiglia ed alcuni vicini. Ho notato che col caldo vanno a mille quelle cose maledette...Abbiamo resistito ma non siamo soldati...a voi il resto.
Rumori di passi! scusate devo andare spero di potervi riscrivere. poca batteria.

Scusate non mi sono firmato: mi chiamo Max, adesso mi devo pulire.

PS
sapete se la pellicola da cucina è una barriera efficace per il contagio?




Post successivi:

Water closed

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Riot

No mercy
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