14 Dicembre 2015 - Mattino
Dormito poco, meno delle solite 5 o 6 ore.
Ripensavo all'ultima volta che ci hanno attaccato in massa, sterminando tutti tranne me.
Era la scorsa estate: noi eravamo in dodici, loro chissà in quanti. Della mia famiglia eravamo rimasti solo io e Marcello, mio fratello maggiore, sulla cinquantina ma ancora capace di usare un'arma improvvisata.
I nostri genitori se ne erano andati dal rifugio una fredda mattina di questa primavera: erano entrambi ammalati, polmonite, ma di antibiotici non ne erano rimasti.
Non volevano più gravare sul gruppo.
Non ci hanno lasciato alcun messaggio; solo le loro coperte e due scatolette.
Li abbiamo cercati nelle contrade intorno, ma erano svaniti, spero che non li abbiano presi, non sarei capace di ucciderli una seconda volta.
Di mia sorella Marisa non sapevamo più niente dal Marzo 2014, quando ci siamo trasferiti nel magazzino. Dovevamo ritrovarci tutti insieme, ma non è mai arrivata.
Quella estate le vedette sul tetto del magazzino registrarono un aumento delle attività degli assedianti affamati.
Si raggruppavano silenziosi attorno alle reti del cortile interno: era come se sapessero che non avevamo munizioni per tutti e perciò se ne stavano lì allo scoperto, sfidandoci.
Ogni tanto altri davano loro il cambio, uscendo dai loro ripari: carcasse di auto, case annerite, il negozio di mobili accanto al nostro rifugio.
A causa della tensione, Vincenzo, ex-giornalaio del paese, in due occasioni sparò dal tetto con la doppietta.
Questo causò un'ulteriore concentrazione di gialli famelici attorno all'edificio.
Ci eravamo disposti in quattro alla porta del cortile e in tre dietro al portone antipanico all'ingresso, gli altri sul tetto con le armi a lunga gittata: due doppiette, la Beretta del capo dei vigili e due archi mongoli a doppia curva.
Io stavo all'ingresso principale con mio fratello e Rossana, una donnetta bassa e risoluta. Stringevo in mano un'asta di metallo lunga un paio di metri, con punte rastremate, che in origine era uno dei sostegni diagonali di una impalcatura da edilizia. Marcello impugnava un piccone, preso dallo stesso cantiere abbandonato dove mi ero servito io. La donna aveva un'ascia e uno scudo di plexiglass dei carabinieri.
Non era la prima volta che ci bardavamo con caschi da moto e protezioni in plastica e nastro adesivo, ma ogni volta mi venivano in mente le proteste contro i governanti europei, negli ultimi mesi prima della caduta della civiltà.
Anche stavolta come allora combattevamo per un diritto: quello alla vita.
I colpi al portone antipanico erano sempre più forti e frequenti, intervallati dai nostri respiri affannati. La catena reggeva, o così pareva.
La visiera del mio casco era graffiata e si stava appannando per l’effetto sauna dovuto al caldo e alla tensione. I guanti di pelle mi si attaccavano alle mani, mentre una goccia di sudore mi si incanalava dalla fronte fino alle mie labbra contratte.
Delle voci concitate alle nostre spalle:
- Venite a vedere! Presto! - era Riccardo, uno nuovo.
Marcello mi fece cenno con la testa di andare.
Quattro uomini facevano a gara per guardare dalla stretta finestrella della porta del cortile.
- Cazzo! Stanno salendo sulle spalle di quei tre grossi!
- Guarda Max! Vedi?
I gialli alla rete del cortile stavano costruendo una piramide umana tipo circo: tre alla base, aggrappati con le mani contratte sulle maglie romboidali, due sulle loro spalle mentre un altro si arrampicava e, aiutato da altri due a terra, si issava sull’estremità della recinzione, in bilico.
Una fucilata di Vincenzo lo fece cadere sulle teste degli altri, sollevando in aria una nuvola rossastra.
Su un altro lato altri stavano facendo la stessa cosa.
Alcune frecce, colpi di pistola e altre tre fucilate piovvero addosso alle due piramidi di carne gialla.
Per uno che cadeva, altri due arrivavano dalle retrovie.
Dopo un’ attimo mi accorsi che anche Marcello e Rossana spintonavano per arrivare alla finestrella.
- Non ce la faremo per molto! - disse la donna sbattendo lo scudo sul pavimento.
- Li dobbiamo fermare noi!
Era Riccardo, che brandiva una spada da gdr dal vivo, opportunamente affilata.
Sembrava quasi William Wallace, kilt a parte.
Stessi occhi da pazzo.
- Col cazzo, io non esco!
- Neanche io, aspettiamo, magari smettono!
Intanto un’altra piramide si stava formando alla recinzione.
- Se continuano a sparare sarà difficile che smettano - disse Marcello.
- Allora voi andate all’ingresso, io, Marcello e Max usciamo... - disse Riccardo a due uomini meno volenterosi.
Erano i due benzinai del paese (non vi dico ovviamente quale), due tipi sempre allegri prima della Gialla, ora un po’ meno. Indossavano ancora le divise grigie bordate di giallo e rosso dell’Agip.
- Va bene, voi andate, noi vi guardiamo da dentro. - dissero calcandosi in testa due vistosi caschi da motocross
Rossana aprì il portone: - Usciamo a darvi una mano! - urlò con le mani a coppa intorno alla bocca, sperando che gli altri sul tetto la sentissero.
Due braccia nodose, gialle la presero per il collo, mandandola a gambe all’aria sul cemento caldo.
Il piccone di mio fratello si abbatté in mezzo alla maglietta dell’hard rock caffè dell’assalitore.
Il fiotto fetido che ne uscì si abbatté fradicio su di noi.
Io e Riccardo ci buttammo fuori per recuperare Rossana che aveva perduto la sua ascia.
- Fermi! non uscite!
Era Greta, il comandante dei vigili urbani, che dal detto mirava in basso con la sua Beretta d’ordinanza.
Avevo capito: dalla nostra postazione avevamo una visuale ristretta, ai lati destro e sinistro del campo visivo offerto dalla finestrella, c’erano altre due piramidi di gialli che noi non avevamo visto ed il primo infetto che aveva scavalcato si era letteralmente trovato Rossana tra le braccia.
Cinque tiratori sul tetto e cinque piramidi: troppi bersagli, considerando gli altri infetti attorno al magazzino.
- Andiamo Rossana! - l’aiutai a tirarsi su: aveva un lungo taglio sull’avambraccio.
La lasciai subito, senza fiato.
Lei mi guardò, terrorizzata: i suoi occhi azzurri correvano ritmicamente dal suo braccio a me.
Poi si chinò per raccogliere da terra la sua arma.
Altri spari dal tetto.
Non sapevo che fare.
- Attento!
Era la voce di mio fratello, mentre cercava di staccare il piccone dal corpo del primo giallo.
Un peso notevole mi buttò faccia a terra, sentii una forte pressione sulla gamba sinistra.
Cercai di rigirarmi, era un vecchio con indosso un cappotto invernale, con l’imbottitura che mi si sbriciolava addosso.
L’ascia gli si piantò proprio sulla pelata paglierina.
Infilai l’asta di ferro tra la gamba e la testa del bastardo e feci leva, finché lo scrocchio improvviso della mandibola mi informò che ero libero.
Rossana mi fece un sorriso e si buttò su una ragazza magra che si stava rialzando dopo essere caduta dalla cima della rete.
Marcello mi si avvicinò guardingo: - Stai bene?
Mi toccai la gamba: la gommapiuma sembra aver retto.
- Sì! Hanno beccato Rossana!
Riccardo intanto mulinava la spada tagliando arti in qua e là.
Dal tetto non sparavano più, solo un paio di frecce si piantarono sull’ennesimo giallo in cima ad una delle piramidi.
- Merda! Lasciala perdere, dentro! - disse mio fratello avviandosi alla porta aperta
- Dai Riccardo andiamo! - urlai all’altro, che ne sta fronteggiando due.
Mi fermai pensando di soccorrerlo.
Ma non lo feci.
Avevo le gambe bloccate.
Nel momento in cui la sua spada si conficcava nella clavicola di un ciccione con la tuta da ginnastica, questo piegò di scatto il collo peloso e gli affondò i denti marci sulla mano, strappando il guanto da sci che la proteggeva.
Riccardo lasciò la sua arma e indietreggiò, proprio mentre un altro infetto alto e scattante gli tagliava la via di fuga, tra lui e me, che mi trovavo ancora piantato due metri dalla porta.
Incontrai lo sguardo avido del nuovo arrivato, mi parve di vedervi compiacimento.
Riccardo urlò e quello decise di correre verso di me.
Alzai la mia sbarra, ma nello stesso momento Marcello mi passò accanto e dette una picconata, che però scheggiò soltanto il cemento del cortile. Lo spilungone partì al contrattacco, ma la mia arma lo fece arretrare.
Ormai i gialli calavano quasi indisturbati da tutti e tre i lati della recinzione.
La vigilessa stava scendendo dalla scala in metallo che portava sul tetto: - Via, via dentro!
- Riccardo! Rossana!
Nessuno rispose, tranne gli infetti, che adesso ringhiavano più del solito.
Io e mio fratello arretrammo coprendo gli altri che scendevano dal tetto.
- Aprite! Oh! Aprite, Aiuto!
Buttai un occhio alle mie spalle: la porta era chiusa.
Scusate ma devo ricaricare il computer, giuro non lo faccio per la suspence, a presto!
MAX
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